Il balcone veste di luce Atanas Dalčev
Un’esperienza emozionale quella proposta dalle 40 intensissime pagine del silent book di Kalina Muhova: Il balcone (Tunué, 2019). Un libro che si rivolge silenziosamente a persone di tutte le età e nazionalità infondendo loro la forza di superare limiti e barriere di ogni tipo.
È l’evocazione la sua arma, che origina dalla ricca cornice lirica che ha ispirato il volume e ha fatto risuonare armoniosamente e di concerto le corde intime di due donne. Qui entra in scena infatti un’altra figura essenziale per la creazione di questo piccolo gioiello: Zornitsa Hristova, editor per Tochitza, che nel 2018 lo ha pubblicato per la prima volta in Bulgaria.
È stata lei, a seguito di un incontro con Kalina Muhova nel 2016 ad una fiera di libri per ragazzi, a proporle di lavorare insieme alla creazione di un silent book. Un obiettivo pioneristico per il mercato di quel paese, reso ancora più coraggioso dal soggetto scelto.
Si basa infatti su Il balcone, componimento del 1928 di Atanas Dalčev, celebre poeta bulgaro vissuto tra il 1904 e il 1978. È alla memoria di quest’ultimo che è dedicato il libro. Gli riserva un cammeo facendolo comparire fra i suoi personaggi e riporta la poesia in calce.
«Di ferro, di pietra, antico:
tanti siffatti potrete veder,
un balcone comune, solo vi dico:
è murato, la porta non c’è.Chissà quando chi lo costruì,
d’un tratto, inutile è diventato,
non per tutti, no: gli uccellini così
bevon la pioggia che ‘l ciel ha mandatoe in una notte piovigginosa
la gronda sua quadrata riunisce
due girovaghi che assieme riposan
dopo un tempo lungo e triste.Ma di giorno non lo scorge là fuori
Il balcone di Atanas Dalčev (1928), traduzione di Alessandra Bertuccelli.
l’occhio sbadato del pedone.
Non sospettano neppure i padroni
che la casa abbia un balcone»
Su questi versi Zornitsa Hristova ha ideato infatti una semplice e breve storia di fantasia, che deve la sua forza narrativa ai sottintesi e al messaggio che trasmette. Ha poi fornito a Kalina Muhova una sceneggiatura sostanzialmente libera, una traccia per il suo lavoro, un canovaccio che le permettesse di esprimersi al meglio, non senza qualche intervento di personalizzazione e di modifica.
Ed ecco che ci si immerge negli anni Trenta. Nello scenario di una bella città ordinata, si staglia un elegante palazzetto. Sulla facciata, un balcone cui non si accede più a causa di una portafinestra tamponata. All’interno un appartamento curato, ben arredato ma scuro, se non buio. Vi abita una famiglia: mamma, papà e una bambina. Sono a tavola intenti a mangiare quando la piccola, nel tentativo di raggiungere la brocca dell’acqua, la fa accidentalmente cadere e rompere.
Viene mandata in punizione in un’altra stanza, in piedi, faccia al muro. Grattando via la carta da parati sulla parete di fronte a lei con una penna, scopre una fessura che fa filtrare la luce dall’esterno. Il fascio luminoso, come quello generato da un proiettore cinematografico, rischiara l’ambiente e consente di scoprire un mondo nascosto ma reale, prospettive e orizzonti nuovi. Un accesso sconosciuto al mondo esterno, un anelito di infinito.
I disegni in bianco e nero di Kalina Muhova, eseguiti a grafite, la sua tecnica prediletta, sono densi, morbidi e malinconici. Conquistano, scaldano il cuore. Danno voce alle emozioni. Catturano le ombre di una famiglia chiusa, severa e opprimente, di un ambiente domestico claustrofobico.
Fotografano la luce e la libertà scaturite dal gesto provocatoriamente trasgressivo di una bimba, da un’estemporanea e sincera esternazione creativa di dissenso. Realistici, espressivi, rendono nel migliore dei modi due elementi insiti nella poesia di Dalčev, detto “il metafisico nel concreto” (метафизикl в конкретното): il quotidiano cupo e duro e un diffuso senso soprannaturale ed epifanico. Il balcone ne è pervaso, in particolare nel finale.
La rivelazione, il mistero svelato, il messaggio savifico è di tornare all’ascolto del nostro istinto, del bambino che è dentro di noi, del nostro corpo. Significa liberare le emozioni, assecondare i propri bisogni, sgretolare i limiti innalzati per proteggersi dal dolore, dalle paure e dai traumi. Ci sono voluti tanti strati sovrapposti di mattoni e di calce per renderli solidi e farli funzionare, giorno dopo giorno, ma ora sono gravose zavorre che tolgono il respiro.
Ai muri psicologici di ciascuno, si sommano quelli storici, sociali, culturali e ideologici. Anche quelli lasciano un segno profondo. Nel clima de Il balcone, sia la poesia di Dalčev sia il silent book, si respirano quelli vissuti dalla gente bulgara, avvezza da sempre alle dominazioni, ai regimi, alle discriminazioni linguistiche, politiche e religiose. Pesanti coltri, restrizioni imposte che schiacciano, asfissiano, «impediscono allo sguardo di spaziare, al pensiero di articolarsi, alla vita di scorrere» ma che nel contempo instillano il desiderio di riscatto.
Quanto c’è nelle immagini senza “il vincolo” delle parole, quanto in pochi brevi versi poetici! La sensibilità di ognuno sarà autrice di interpretazioni diverse, contemporaneamente giuste e sbagliate (non importa), destinate a mutare a seconda del momento della vita in cui si approccerà il libro. E se è vero che le tavole sono poche, è indispensabile dedicarvisi con calma, tempo e concentrazione per carpire i particolari e per goderne a pieno. Per sentire. Nell’intimità.
Questa la bellissima dedica che Kalina Muhova ha realizzato per me il 2 luglio 2021. Ci siamo incontrate in occasione della presentazione di Grazie e Scusa al Festival Bande de Femmes, organizzato dalla libreria Tuba Bazar. Ne vado molto fiera!