La voce delle cose: il mondo di una bambina sorda
È una poetica ed efficace immersione nel mondo di una bambina sorda, quella che Cécile Bidault propone al lettore con il suo silent book d’esordio La voce delle cose (ComicOut, 2018), L’écorce des choses (WARUM, 2017). Un’opera che offre l’occasione di immedesimarsi con le persone che convivono con questo deficit invisibile. Un pregevole invito a ragionare sull’argomento sordità e su quanto tutt’oggi sia generalizzata l’ignoranza in proposito.
Per enfatizzare la tematica e il messaggio che trasmette, La voce delle cose è un albo quasi totalmente muto. Qualche linea di testo, esigua a dire il vero, compare solo in tre tavole iniziali. Brevi didascalie che raccolgono la voce fuori campo della piccola protagonista che, ormai adulta, rievoca un momento particolare della sua infanzia. Sono i primissimi anni Settanta, ha nove anni e con i genitori si stabilisce in una nuova casa, seppur di famiglia, nella campagna francese.
Si apre così il suo racconto per immagini sul primo anno di quest’avventura, diviso in quattro capitoli quante sono le stagioni che ripercorre. Attraverso il suo sguardo sempre tenero, vivo e curioso, vignetta dopo vignetta, tavola dopo tavola si penetra nella sua quotidianità silenziosa e ovattata.
In assenza di suoni e parole è una realtà serenamente e dolcemente pregna di intuizioni, di immagini mentali, atmosfere, profumi, stimoli tattili, vibrazioni, emozioni e sentimenti. Insomma, tra le pagine de La voce delle cose c’è tutta la sua vita istintuale, vera come nessun’altra. È lì tra i giochi all’aria aperta, il rifugio sull’albero, il forte legame di amicizia con un coetaneo dopo un incontro fortunato e un po’ enigmatico, le incursioni dall’anziana vicina di casa.
È evidente la sua insaziabile voglia di imparare con gli occhi, di esplorare e vivere pienamente il suo mondo. Lo è altrettanto l’impossibilità che ha di interpretare correttamente gli atteggiamenti, il comportamento e le reazioni delle persone che la circondano. E quando nelle difficoltà prevalgono la frustrazione e il senso l’impotenza, non mancano comprensibili esternazioni di rabbia.
Al suo fianco la bambina ha dei genitori udenti, affettuosi ma visibilmente disarmati. Forse hanno scelto la realtà agreste proprio nell’auspicio di crearle intorno una bolla, un microcosmo protettivo. Hanno grande difficoltà a trovare un canale di comunicazione con la figlia. Cercano di farle percepire le vibrazioni delle corde vocali, facendole mettere una mano sulla gola nel pronunciare determinati suoni, ma per altro sono impotenti. Nel tempo purtroppo tra i due il dialogo scema, aumentano le frizioni e i litigi. L’unione vacilla.
La piccola di casa al contrario è sempre desiderosa di esprimersi, aprirsi e interagire, di condividere, di partecipare e trovare il suo posto nella famiglia. Aspira a vivere intensamente ogni minimo attimo della sua infanzia. È sempre la prima a intraprendere con energia, entusiasmo e coraggio tutti i passi necessari per entrare in empatia con chiunque abbia intorno, oltre che per avverare i propri desideri.
I sogni, le fantasticherie e le storie che racconta a sé stessa sono la sua ancora di salvataggio. Meglio, sono la zattera per abbordare alternative a un reale che somiglia a un grande acquario. È ricco il suo parallelo universo interiore, immaginario ed acquatico anch’esso. Pieno di pesci, in accordo con la mancanza di sollecitazioni acustiche. Per fortuna però l’ingegno ha generato un codice che permette di capirsi e di dialogare anche nella profondità del mare, come i sub. Così la svolta arriva con la scoperta fondamentale e liberatoria di parole che diventano gesto, espressione e movimento: la lingua dei segni.
Per la giovanissima eroina, padrona del suo destino, cominciare a segnare nella tranquillità della sua stanzetta è motivo di una gioia incontenibile. Ed è lei stessa a dedicare al lettore qualche piccola sessione didattica. Nelle sue lezioncine si impara a dire bonjour e i nomi delle quattro stagioni in LSF, la Langue des Signes Française, la lingua dei segni francese. Già perché non esiste un’unica ed universale lingua dei segni, bensí numerossisme lingue nazionali.
Se l’origine di linguaggi mimici e della comunicazione visiva dei non udenti si può ascrivere all’antichità, il primo a codificare, insegnare e diffondere la lingua dei segni è stato l’abate Charles-Michel de l’Épée a Parigi a metà del Settecento. Se la nascita nel XIX secolo di alcune delle lingue dei segni è dovuta al rapporto tra personalità influenti e ad una trasmissione del sapere, in ogni caso:
«L’emergere di una lingua dei segni è legato alla possibilità della formazione di una comunità linguistica abbastanza ampia perché la lingua diventi un veicolo di comunicazione condiviso. Quando più bambini o adulti sordi si trovano insieme e possono socializzare, dando vita a nuove comunità, la loro comunicazione in segni si arricchisce e si stabilizza».
Mauro Mottinelli, Virginia Volterra, Le lingue dei segni nel mondo in Treccani, XXI secolo, 2009.
Dunque i rapporti e le parentele tra gruppi linguistici differiscono da quelli delle lingue vocali e sono strettamente connessi a fattori socio culturali. Ai medesimi si devono le alterne vicende di ciascuna delle lingue dei segni, oltre che a motivi strettamente storici e alla produzione normativa dei diversi Stati.
In Francia per esempio, lo si scopre proprio dall’introduzione de La voce delle cose, solo nel 1976 il Ministero della Salute abroga il divieto di utilizzo ed insegnamento della LSF. L’emendamento Fabius alla legge 91-73 del 18 gennaio 1991 garantisce alle famiglie il diritto di scegliere liberamente nell’educazione dei propri figli sordi tra la comunicazione bilingue, lingua dei segni – francese, e quella orale. Il riconoscimento giuridico della LSF come lingua giunge ancora più avanti, l’11 febbraio del 2005. Quello della LIS, la Lingua Italiana dei Segni, avviato nel 2017, si è invece finalmente concluso lo scorso 19 maggio 2021!
I disegni di Cécile Bidault, realizzati a matita e poi colorati su Photoshop, sono straordinari. Fini, godibilissimi, assimilabili a quelli di un affascinante libricino illustrato per l’infanzia. Il segno è sempre morbido, in netta contrapposizione col titolo originale che rimanda alla ruvidità e alla durezza della corteccia, alla scorza delle cose. Incredibile l’espressività data ai personaggi, nonostante la sintesi con la quale si delineano i volti. Diversamente declinati, due ovali scuri per gli occhi, un triangolino per il naso e una lineetta per la bocca (anche chiusa a cerchio o in un ovale anch’essa) sono in grado di coinvolgere emotivamente.
Sapiente, curato, sorprendente l’uso dei colori pastello e delle sfumature. In genere tenui, a momenti luminosi e vivaci, oltre a variare in armonia con il tempo meteorologico e l’avvicendamento delle stagioni, permettono di trasformare in stimoli e sensazioni fisiche le percezioni della protagonista. Di certo, parlando di tinte, non si può non applaudire per la scelta e la composizione della copertina. Nei caldi ed accesi toni del rosso, con al centro la protagonista seduta sul ramo di un maestoso albero, contornata dagli immancabili pesci, induce a gettarsi a capofitto nella storia.
Nessun dramma o pietismo, tantomeno accenti forzati sui problemi. Pur affrescando la sordità il silent book sembra puntare a dare forza e vitalità alle geniali intuizioni di Maria Montessori, secondo la quale i bambini ascoltano la voce delle cose.
«”Di dove sono io? Della mia infanzia. Sono della mia infanzia come di un paese”, ha scritto A. de Saint-Exupery, che trova nei suoi ricordi di bambino il segreto della sua forza da adulto, di pilota coraggioso. Noi siamo della nostra infanzia e l’infanzia è del suo paesaggio natale. L’infanzia è un paese, è anche un luogo psichico e fisico. In essa l’ambiente parla e educa, il bambino ascolta la voce delle cose. E queste finiscono per essere quelle che sono per i poeti. Le cose esistono in natura, solo però per chi sappia coglierle, isolandola da quella trama di abitudini e associazioni in cui sono quotidianamente immerse. Il bambino elegge le cose, alcune cose, a proprie compagne, riscoprendone quell’alcunché di eccezionale che esse sono. Scoprendo o sentendo senza sapere che non c’è una cosa sola al mondo che non sia misteriosa pur nella sua assoluta semplicità».
Raniero Regni. Paesaggio educatore. Per una geopedagogia mediterranea (Armando Editore, 2009), p. 56.
La voce delle cose. Un potente inno, ritmicamente ed esteticamente perfetto, all’importanza dell’infanzia, ai bisogni primari e fondamentali di relazione ed espressione, alla comprensione delle differenze, al rispetto e alla tolleranza. Per tutte le età.